In Francia nel secolo XVII alcuni regolamenti
obbligavano a rispettare il ciliegio selvatico, affinche i poveri potessero
mangiarne i frutti.
Una successiva ordinanza del 1669 del re ne preservava la distruzione,
cosa che andò a tutto vantaggio dei fabbricanti di mobili.
Il nome botanico di Prunus avium L.
deriva dal fatto che i frutti venivano mangiati anche dagli uccelli.
Secondo Plinio il Vecchio il Prunus Cerasus (vero ciliegio) fu portato
a Roma nel 73 a.C. da Lucio Licinio Lucullo che più tardi divenne
famoso come gran Ghiottone. Lucullo che era Console romano nell'attuale
Turchia dove il ciliegio veniva coltivato (Cerasunte sul Mar Nero -
dal nome della città è probabile la derivazione di Cerasus).
In breve tempo la coltura del ciliegio
raggiunse Roma e da lì le altre parti d'Europa.
Il ciliegio è citato anche da Aristotele e Teofrasto nel IV secolo
a C., ciò non desta sorpresa perchè Cerasunte era stata
una colonia greca.
Spesso era proibito salire sugli alberi
di ciliegio, pena una caduta o una sciagura.
In Giappone il ciliegio è veneratissimo
attraverso la religione della natura (shintoismo): lo sbocciare dei
fiori in primavera è occasione di veri pellegrinaggi, di festeggiamenti
e cerimonie religiose. In questo caso le coltivazioni dei ciliegi avvengono
per il fiore e non per il frutto, non commestibile.
Il culto dei giapponesi verso questa pianta è il ringraziamento
agli dei per la promessa di una felicità che prefigura la beatitudine
eterna.
La pianta simboleggia anche la precarietà di ogni esistenza terrena,
da cui un giorno bisogna staccarsi, e la ciliegia rosso sangue è
diventata l'emblema del Samurai, sempre pronto a sacrificare una vita.