Il gelso bianco (Morus alba) può
vivere 4 secoli.
Il re normanno Ruggiero II introdusse il gelso bianco nel regno di Sicilia
nel 1130.
Nel 1500 in tutto l'Italia era già diffuso. Precedentemente veniva
coltivato nell'impero Bizantino, dove il gelso bianco era attivato dalla
Cina attraverso la Persia.
Fino al VI secolo la Cina aveva invaso l'Europa con le sue sete che
i romani e i bizantini pagavano a peso d'oro. La via della seta attraversava
tutta l'Asia centrale e attraverso numerosi intermediari arrivava in
Europa. Per lungo tempo si pensò che la seta fosse prodotta dagli
alberi, fino a quando nel 555 due monaci (a rischio della propria vita)
portarono nei manici dei bastoni alcune uova del bombice del gelso,
i cui bruchi sono i bachi da seta.
I cinesi lo conoscevano da 3.000 anni; le cronache narrano
che verso che verso il 2.700 a.C. l'imperatrice Si-Ling-Chi, dopo aver
osservato dei piccoli bruchi che mangiavano le foglie di gelso bianco
che tessevano dei bozzoli sericei in cui si chiudevano per diventare
crisalidi, ebbe l'idea di allevarli per trarre profitto dalla loro seta
lucente.
Per i suoi frutti si coltivava (prima del gelso bianco)
il gelso nero (Morus nigra L.) con foglie e frutti di colore scuro.
In Grecia si conosceva la mora viola/nerastra chiamata Sykaminon, nome
derivato da Sukè , il "fico" o più correttamente
moron, frutto del rovo.
Secondo Plinio e Dioscoride, il gelso costituiva una
cura contro la diarrea. combatteva i parassiti intestinali e le foglie
tritate e con l'uso di un po' d'olio venivano applicate sulle ustioni.
Nella metamorfosi di Ovidio, il gelso nero tratta della
drammatica storia di due giovani babilonesi: due giovani si amavano
teneramente e trovavano spesso presso una fonte all'ombra di un albero
di gelso. Di nascosto, perchè le famiglie come nell'opera di
Shakespeare "Romeo e Giulietta" contrastavano questa unione.
Un giorno Tisbe (nome della giovane innammorata) arrivata per prima
alla fonte, scorse una leonessa e fuggì spaventata, lasciando
cadere il velo che la ricopriva. La belva lacerandolo lo arrossò
del sangue di una preda che aveva precedentemente uccisa. Poco dopo
arrivò Piramo (nome del giovane) trovò il velo e credette
che Tisbe fosse morta per colpa sua. Disperato si trafisse il cuore
e il suo sangue schizzò le more del gelso. Quando Tisbe tornò
e vide l'accaduto maledì l'albero: "porterai per sempre
frutti scuri in segno di lutto per testimoniare che due amanti ti bagnarono
con il loro "sangue" e si trafisse con la stessa spada usata
da Piramo.
Da allora i frutti del moro nero prima bianchi poi rossi, quando maturano
assumono un colore porpora scuro.
Se Ovidio attribuisce a questa leggenda un'origine asiatica è
perchè il gelso nero proviene da Sud, nel Caucaso, dal Mar Caspio,
dall'Armenia e dall'Iran del Nord. Da lì, la sua coltivazione
fu diffusa in nord-Africa, poi nella Spagna e in Italia, ma la seta
ottenuta è di scarsa qualità.