Ecco la storia che la 1g ha ideato al Parco, ha perfezionato
in classe e ha finalmente rappresentato al Parco Nord, in occasione
della seconda uscita.
Per vedere le scene della storia - ovvero i disegni - e per leggere
la storia stessa, clicca sulle piccole immagini qui sotto.
Mi chiamo Fabrizio, ho 12 anni sono abbastanza alto e
ho i capelli biondi. In una mattina di primavera, il sole splendeva
nel cielo riscaldando il fieno della cascina di mio nonno.
Decidemmo, io e i miei amici, di giocare a nascondino perche' questa
aveva molti posti dove potevamo nasconderci. Qualcuno si nascose nel
fieno, qualcun altro tra le mucche e qualcun altro ancora nelle diverse
stanze da letto. Io, però, avevo un posto segreto che nessuno
aveva mai visto: la soffitta.
Era formata da pareti di legno marcio, rivestito di cemento, e il tetto,
ai due lati, scendeva fino a toccare il pavimento.
La soffitta era piena di scaffali impolverati; in fondo alla stanza,
dietro una cassa, s'intravedeva un libro con la copertina raffinata,
ma piena di polvere.
Preso dall'eccitazione, ho chiamato i miei amici, i quali, pensando
che stessi male, arrivarono tutti di corsa.
Andrea, un bambino basso e cicciotto, chiese: "Come stai Fabrizio
?" , e io risposi : "Sto bene, ho solo trovato una cosa".
Questi, incuriosito, mi chiese: " Che cosa?".
Io, che nel frattempo avevo preso tra le mani quel volume
e cercavo di togliere un pò di polvere, risposi: "Un vecchio
libro di fiabe, credo che appartenga a mio nonno" . Intervenne
Lucia, una bambina molto carina con le treccine e le lentiggini: "
Perchè non ci facciamo raccontare la storia del libro da tuo
nonno?" .
Io entusiasta della proposta, risposi : " Ok , va bene!".
Allora andammo da mio nonno e gli chiedemmo tutti in coro: " Signor
Beppangelo ci può leggere la storia di questo libro?"; lui,
prima un pò annoiato, ma poi intenerito dai nostri sguardi imploranti,
disse : "Va ben , picciriddi, ma ad una condizione: non mi dovete
interrompere". Tutti insieme rispondemmo: "Si , signor Beppangelo".
Si avviò verso la campagna che circondava la cascina,
noi lo seguimmo e lui ci portò sotto un vecchio castagno. Mio
nonno aveva 87 anni, ma aveva lo spirito di un bambino di 10 anni. Era
calvo, pieno di rughe, molto alto e aveva qualche ferita di guerra,
perchè aveva partecipato alla Seconda Guerra Mondiale. Sotto
il vecchio castagno, il nonno ci fece sedere e cominciò a leggere
la storia; noi restammo ad ascoltare in silenzio e con attenzione.
Iniziò così in una mattina di maggio, che
sembrava del tutto normale: il turno del guardiaparco Luca Randazzo
era finito e quello di un altro guardiaparco, Vincenzo Magni, era incominciato.
Vincenzo era un guardiaparco un pò tarchiato, alto circa 1 metro
e 80, molto rigido per quanto riguardava il rispetto delle regole.
indossava la sua uniforme, un cappello con visiera e degli stivali neri;
aveva due occhi azzurri che sapevano lanciare occhiate penetranti e
furibonde allo stesso tempo.
Pattugliando qua e la' inciampò in una radice, cadde e quando
rialzò la testa, vide scappare due uomini : uno alto e magro,
indossava un paio di jeans neri e un giubbino di pelle anch'esso nero;
non aveva barba e i capelli erano di colore scuro.
L'altro , invece, era un pò più grassottello, era vestito
come il suo amico, ma portava un paio di occhiali da sole.
Due strani personaggi stavano dirigendosi verso l'uscita,
quando sentirono una voce autoritaria che gridava : "Ehi voi! Fermatevi".
Era il guardia parco che aveva notato i loro atteggiamenti strani, ma
i due furfanti, colti in flagrante, cominciarono a ridacchiare in modo
sospettoso e a scappare verso l'uscita; il guardia parco, che era all'oscuro
della trappola da loro preparata, cadde nel loro tranello.
La trappola consisteva in una buca circolare scavata nel terreno, con
una profondita' di oltre 2,5 metri; la superficie era ricoperta d'erba,
in modo che chiunque ci fosse passato sopra sarebbe caduto andando a
finire in un tunnel buio.
Queste due persone, per fare in modo che nella trappola ci cadesse la
guardia del parco, avevano attirato la sua attenzione mettendosi a rompere
dei rami da un albero.
Quando Vincenzo cadde nella trappola, si mise a piangere
e ad urlare perchè non sapeva dove si trovava.
Dopo pochi minuti, calmatosi e facendosi coraggio, inizio' a guardarsi
intorno, cercando di scorgere qualcosa che potrebbe aiutarlo ad uscire
da li.
La trappola era stretta e buia, ma Vincenzo, grazie ad una tenue luce
che veniva dall'alto, scorse una porticina piccola e fatta di legno;
vi si avvicinò, provò ad aprirla incuriosito per ciò
che si nascondeva dietro. L'aprì e vide, con gran meraviglia,
un mondo sotterraneo abitato da tante piccole formiche.
Rimase senza fiato per la scoperta che aveva fatto e per ciò
che aveva davanti agli occhi: strade, casette, una città popolata
da formiche operose ed efficienti, ognuna intenta al suo lavoro con
serietà e scrupolosità.
Passato l'iniziale stupore, un dolore atroce lo preoccupò:
si accorse di avere la caviglia sinistra slogata. Nei paraggi vide l'infermiera
e , zoppicando , la raggiunse. Li c'erano tante formiche infermiere
che andavano da tutte le parti con i loro carrelli. Il guardia parco
cercò di comunicare con qualcuno, ma nessuno lo ascoltava, era
come se lui non esistesse. Allora, preoccupato per la sua caviglia,
rubò una benda da un carrello e si fasciò. Con la benda
sentì che il dolore si era alleviato, così uscì
alla scoperta di questo mondo a lui sconosciuto.
Appena uscito, si rese conto di non essere nel suo mondo abituale; l'ansia
e la preoccupazione sostituirono la curiosità iniziale, non sapeva
cosa fare, restò come pietrificato, Si rese conto, però,
che quello non era l'atteggiamento ideale, quindi, si tranquillizzò
e decise di ideare qualcosa per ritornare a casa e, intanto, di fare
una nuova esperienza scoprendo questo fantastico luogo.
Girò per negozi, bar, scuole e farmacie, pensando:
"Certo che sono ben organizzate! ". Ad un tratto vide la caserma
delle formiche carabiniere e , mentre la stava osservando, un gruppo
di loro, agitate, ma allo stesso tempo spaventate dall'intruso, lo afferrarono
e lo portarono in un posto segreto: una cella umida, con i muri di fango
e le sbarre di stuzzicadenti.
Vincenzo, confuso e innervosito, si sedette a terra, appoggiando al
muro, immerso nei suoi pensieri: si chiedeva per quale motivo si trovava
lì e come avrebbe fatto a spiegare alle formiche chi era e che
per disgrazia si era trovato nel loro mondo, ma ad un tratto il muro
crollò.
Dall'altra parte della parete, c'era una stanza uguale alla sua, ma
al centro del pavimento c'era una pozza d'acqua dalla quale si sprigionava
una luce accecante.
L'uomo, incuriosito, si avvicino', immerse la sua mano nell'acqua gelida,
tento' di afferrare l'oggetto misterioso , vi riuscì, tirò
fuori la mano e vide una pietra....
La pietra, trovata da Vincenzo Magni, era coloratissima,
brillante e custodiva dei poteri magici che lui non conosceva.
Mise la pietra sul petto e, magicamente da essa uscirono due fili che
si legarono al suo collo ; poi venne avvolto da una nebbia intensa,
sentiva girare la testa e comincio' a barcollare, ma si riprese subito;
pensò che non c'era altro tempo da perdere, sfondò il
muro che dava l'accesso all'esterno della prigione e si addentrò
in questo mondo inverosimile.
Scoprì che grazie alla pietra magica in suo possesso,
riusciva a capire i discorsi delle formiche che parlavano tra loro.
Vincenzo , di fronte a questa assurda situazione, era stupito e confuso,
ma ancor di più lo era quando una formica gli domandò
: "cosa ci fai qui umano ? come ti chiami? ". Balbettando
le rispose: "io sono Vincenzo Magni, sono un guardia parco del
Parco Nord di Milano. Purtroppo sono caduto in una trappola fatta da
briganti e sono atterrato qua giù; mi potresti aiutare ad uscire
da qui?" . La formica credette alle sue parole e con grande altruismo
decise di aiutarlo, dicendogli : " Si, certo, ma ti devi mettere
ranicchiato. Non aver paura, non ti farò del male"
Lui annuì si mise in quella buffa posizione, chiuse gli occhi,
e la formica lo risucchiò, sputandolo su per il tunnel dal quale
era arrivato.
Quando apri' gli occhi si ritrovò, sorprendentemente, nel punto
in cui era caduto: sul margine della buca.
Tutto felice, Vincenzo incominciò a passeggiare
nel prato, ma ad un certo punto, vide appoggiato ad un albero un enorme
bruco che stava dormendo.
Il brucone riposava profondamente addormentato sotto una quercia molto
vecchia, folta di rami e foglie, con un tronco largo e rugoso per i
suoi numerosi anni di vita, che gli facevano ombra e fresco.
Il brucone era lungo e con un colore variegato che andava dal viola
ad una sfumatura verde.
Pur avendo una grande mole, era molto buono e socevole; di solito aveva
una faccia molto riposata per le sue lunghr ore di sonno e si svegliava
solamente per andare a brucare presso i cespugli o gli alberi sotto
cui dormiva.
Il guardiaparco svegliò bruscamente il bruco, perché voleva
capire se quella pietra magica gli permetteva di parlare con tutti gli
animali.
Il bruco, inizialmente, si agitò, poiché un uomo gli rivolgeva
la parola e lui riusciva a capirlo; poi, tranquillizzandosi, ascoltò
attenramente l'avventura di Vincenzo che fremente e desideroso di parlare,
iniziò a raccontare.
Alla fine del racconto, con una faccia stupefatta, pensando che non
si erano neanche presentati, il bruco disse: "Mi chiamo Gigione
il brucone", ed il guardiaparco rispose:"Io Vincenzo Magni",
e tutti e due in coro dissero:"Piacere di conoscerti"".
Vincenzo, poi, lo salutò in fretta perché voleva trovare
altri animali con cui parlare.
Quello stesso giorno, però, successe qualcosa di ancora più
strano: i rami della quercia alla quale si era appoggiato il bruco,
si mossero, toccandosi appena e, a poco a poco, il movimento si amplificò;
poi sentì un ronzio e, infine, dopo che Gigione su fu riaddormentato,
si sentì un tonfo sordo.
Il bruco si svegliò di soprassalto, spaventato scorse tra i rami
un'enorme macchia nera, con becco lungo e arancione e con due zampe
molto lunghe: era un corvo ansioso di scendere dalla quercia. Il corvo
portava una borsa da postino a tracolla di cuoio con sopra degli adesivi
provenienti da tutte le parti del mondo. Il corvo, tra le tante buste,
ne prelevò una abbastanza grande, indirizzata al bruco e, con
voce solenne, parlò:"Questa é una lettera per il
Signor Bruco del Parco Nord, é lei?; il bruco rispose:"Sì,
sono io, ma vorrei sapere chi é il mittente".
Allora il corvo scocciato ribatté: "Sulla busta c'é
solo il nome del destinatario, e non so altro".
Così dopo avere consegnato la busta al bruco, il corvo spiccò
il volo.
Il bruco, allora, aprì la busta, osservò lo spessore della
carta giallognola un po' stropicciata; la lettera era scritta in geroglifico,
scrittura sconosciuta a lui, ma capì subito chi l'aveva spedita,
perché una lettera scritta in egiziano, non poteva che scriverla
l'albero egiziano che si trovava in un vasto prato poco distante da
lì. Gigione chiamò repentinamente Vincenzo, che si aggirava
tra gli alberi, pensando che potesse aiutarlo e gli diede la lettera;
questi, grazie alla pietra magica, aveva anche acquisito il potere di
leggere ogni tipo di scrittura, infatti la tradusse subito in italiano.
Il guardiaparco cominciò dunque a leggere la lettera: "Caro
Gigione, ti ricordi di me? Sono l'albero egiziano. Volevo chiederti
se potevi aiutarmi, perché intorno a me ci sono soltanto alberi
morti, mentre io vorrei alberi vivi con cui parlare, giocare e scherzare.
Ti prego, aiutami!!!
Il guardiaparco ed il bruco incominciarono a correre, Gigione non riusciva
a mantenere il passo di Vincenzo, ma, con il fiatone, insieme giunsero
in quell'immenso prato e videro l'albero egiziano che aveva uno sguardo
molto triste.
In quel prato, intorno all'albero, non c'erano che alberi morti; i due,
spaventati si chiesero cosa fosse accaduto e l'albero egiziano, addolorato,
disse loro che non conosceva il motivo che aveva causato quella tragica
visione.
Dopo alcune ipotesi, il guardiaparco pensò che non si poteva
fare altro che rimboschire quel luogo e l'albero, per aiutarli, disse:
"Vicino all'albero, dove vi é arrivata la lettera che ho
mandato, ci sono alcuni semi e una zappa; prendeteli, così sarà
più facile piantare gli alberi".
I due si incamminarono per raggiungere il posto indicato dal povero
albero; giunti sul luogo, cercarono il materiale e trovandolo tornarono
da lui.
Si misero al lavoro ma faticosamente e dopo molto tempo il bruco e l'uomo
furono contenti del lavoro svolto. Intorno all'albero egizio non c'erano
più alberi secchi, ma tente buchette dalle quali presto sarebbero
spuntati tanti piccoli alberi. Giunse però il momento di lasciarsi
e i due benefattori si salutarono; Vincenzo Magni contento se ne andò
con il potere di comunicare con gli animali, il bruco divenne una farfalla,
mentre l'albero continuò a vivere e a regnare nel suo prato,
anch'esso felice di poter avere tanti fratelli con i quali condividere
le gioie e i dolori che Madre Natura offre loro.
Ma che fine avevano fatto i furfanti che avevano preparato
la trappola?
La sera successiva Vincenzo tornava dall'ultima ronda serale e sentì
strani rumori, come di rottami sbattuti, corse a controllare e vide
una macchina che si era aperta una via nel cancello forzandolo; le portiere
erano aperte e dalla macchina partiva una scia di impronte. Vincenzo
lo seguì, scopri due malviventi che con una sega elettrica si
accingevano a tagliare un albero; li riconobbe, erano gli stessi che
la sera prima avevano piazzato la trappola. Corse con tutta la forza
che gli rimaneva in corpo e andò a chiamare i suoi colleghi,
un gruppetto di cinque guardiaparco. Questi videro Vincenzo e gli chiesero
cosa fosse successo, e lui, ancora senza fiato e con fioca voce, rispose:
"Bracconieri e bene attrezzati!"; così dicendo ripartì
ancora di corsa verso il capanno degli attrezzi, gli altri lo seguirono.
Ognuno prese un lungo bastone, si avvicinarono ai malviventi con cautela,
e con uno scatto li accerchiarono e li catturano.
Il giorno dopo il guardiaparco Vincenzo Magni venne premiato con una
medaglia al valore per avere ripiantato gli alberi e avere catturato
i malviventi, durante una manifestazione organizzata dai suoi amici
e dal responsabile del Parco.
Vincenzo dopo questa entusiasmante avventura continuò a fare
il suo onesto lavoro per molti e molti anni ancora".
Il nonno finì di leggere il libro e ci chiese:" Vi é
piaciuta la storia?" - "Si" - rispondemmo in coro.
Così io, il nonno e i bambini andammo a fare una passeggiata
per il giardino della grande cascina illuminata dal sole della primavera.